Morbidi, stagionati, cremosi, erborinati… Tanti sono i formaggi che puoi trovare.

Ognuno ha delle caratteristiche e delle specifiche ben particolari. 

Ce ne sono tantissimi. Di tutti i tipi e di tutti i generi.

Tutto vero, certo. 

Ma per me, sotto sotto, le tipologie si dividono in due semplici categorie.

Si, solo due. 

Io sono il GastroAmante (puoi leggere la mia storia qui) e ho dedicato la mia vita al cibo, al mangiar sano e di gusto.

In questo articolo te le spiegherò efficacemente e analizzeremo le loro differenze generali entrando sempre più nel dettaglio.

Saprai, alla fine, qual’è la differenza tra i due e i fattori che influenzano la qualità di un formaggio. 

Incominciamo!

P.S: prima di iniziare ti suggerirei di leggere velocemente anche l’articolo: la classificazione del latte: crudo, pastorizzato… capirai di più sulla materia prima subito.

Le due grandi categorie

I formaggi artigianali e i formaggi industriali

I formaggi semplici, da discount… e i formaggi con la F maiuscolaQuelli che stupiscono.

Mi piace dividerli così poichè le differenze, sono nette, sostanziali ed inequivocabili.

Qualsiasi aspetto si prenda in considerazione. 

Detta così so che può sembrare strano ma ora ragioneremo insieme sulle loro grandi distinzioni e so che, alla fine, converrai con me.

C’è da fare una premessa importante:

Per formaggi artigianali si intendono tutti quei formaggi dove la lavorazione è più naturale possibile e non sono previste “meccanizzazioni” pesanti (l’uso di macchinari) durante i processi –il formaggio non lo possono fare solo le macchine-.

Sono formaggi principalmente (per forza di cose) provenienti da piccole e medie realtà. 

Io sono innamorato di questi formaggi artigianali: li compro da aziende agricole che conosco ormai da tempo per me e per i miei amici.

Ogni giorno aggiungo sempre qualcosa di nuovo.

Per formaggi industriali identifico tutti quei formaggi prodotti su “larga scala”.

Standardizzati, sempre uguali, per tutti. 

Quelli nati per saziarti ma senza, effettivamente, gustarteli.

Dove i numeri sono talmente grandi che sarebbe difficile –se non impossibile- crearli senza l’utilizzo delle macchine.

I formaggi dei caseifici immensi, dei lotti di produzione (il risultato finale di un intero ciclo produttivo, dal riscaldamento del latte al prodotto stagionato) da migliaia di pezzi.

Migliaia. 

Al giorno.

Parto da questo concetto banale e forse un po’ scontato perché è la base da cui incominciare con il ragionamento.

Se vuoi entrare nel vivo, clicca qui per saltare l’introduzione. 

Se vuoi immergerti nella situazione… buona lettura!

INTRODUZIONE

Adesso…

….Immaginati di essere a fare la spesa.

All’orecchio una leggera musica alternata ad offerte gridate da una voce sorridente.

Sulla pelle, quel brivido di fresco dei frigoriferi.

Davanti a te la distesa del banco dei formaggi.

il banco del supermercato
Formaggi tutti uguali: il banco del supermercato

Ce ne sono di tutti i tipi.

Morbidi, duri, al fieno, semplici, cremosi… In spicchi da una parte e forme intere più dietro.

Talmente tanti che non sai scegliere bene.

Inizi a darti un’occhiata in giro.

Cerchi tra i formaggi di pecora, vuoi un bel pecorino saporito da fine pasto.

Questo fine settimana vengono degli amici appena tornati da una vacanza di relax in campagna e non vuoi fare brutta figura.

Guardi qua, guardi là Leggi le etichette e controlli il prezzo.

Boh, sembrano tutti uguali.

Tutti abbastanza simili tra loro… come capire le differenze?

Decidi di prendere quello che più ti ispira e continui nel fare la spesa…

Un momento…

La situazione non ti sembra familiare?

Magari non sarà perché viene una coppia di amici a cena ma credo che anche a te sia successo di essere indeciso su quale formaggio scegliere appena sei davanti a tutta quella distesa.

Ce ne sono davvero di tutti i tipi.

Ma fondamentalmente, all’occhio tutti quasi uguali.

ma continuiamo.

Arrivato il grande giorno, gli invitati si presentano con un grande regalo: mezza forma di un formaggio di pecora artigianale preso in vacanza.

Euforici ti dicono che assolutamente lo devi assaggiare. Che non hai mai provato nulla del genere.

Raccontano di averlo preso, su consiglio di amici del posto, in un’azienda agricola lungo la strada per il paese.

Solo scartandolo dalla carta, un odore piacevole di cacio ti stuzzica il naso.

…mmm… è invitante.

Mentre prepari il tagliere, ti accorgi che quello che hai preso al discount, invece, non è cosi “avvolgente”.

Anche solo tagliandolo per servirlo vedi che sono due mondi differenti.

Quello dozzinale… si, è duro, ma non così tanto da poter essere servito a scaglie.

Quello artigianale… beh, è un altro mondo.

La crosta dura, leggermente oliosa, racchiude una pasta compatta ma, comunque, scioglievole.

E quando li servi a tavola, hai la conferma di tutto.

La scaglia ti si scioglie in bocca. Un sapore avvolgente ti invade il palato pizzicando leggermente dopo averlo mangiato.

Si sente che ha un sapore “pieno”, molto saporito. Quasi forte.

Sapori che in giro sono scomparsi. Che non scopri più da tempo.

Una scaglia dietro l’altra, ognuna ti lascia un piacevole sentore in bocca.

L’altro, invece, è molto più “classico”.

La crosta è appena dura, di un giallo semplice quasi finto.

Dalla pasta quasi gommosa, comunque morbida, dal sapore abbastanza piatto e “molto lontano”. Fievole.

Perché tutto questo?

DUE FORMAGGI, DUE MONDI.

Tutto parte dalla fine. Anzi, dal fine.

Il fine ultimo per il quale si decide di creare il formaggio.

Qualità vs quantità.

Quel pecorino dell’azienda agricola rappresenta i formaggi artigianali: Quelli il cui fine ultimo è la qualità.

I formaggi industriali invece, puntano alla quantità, ai soldi, all’abbondanza..

Cosa vuol dire questo? 

Il formaggio artigianale, da quando viene anche solamente pensato, ha come fine ultimo la bontà.

Forma di pecorino artigianale a stagionare
Forma di pecorino artigianale a stagionare

Tutto, avviene in funzione di un prodotto finale saporito, piacevole, avvolgente…

…ed “entusiasmante”. 

Dalla scelta del latte alla sua lavorazione. 

Tutti i dettagli servono ad aggiungere un tassello. A rendere tutto ancora più buono.

Proprio per questo io mangio solo quelli prodotti dai miei amici nelle loro aziende agricole: li trovi qui se li volessi anche tu-

(Questi tasselli li vedremo tra poco nel dettaglio)

Il formaggio industriale, al contrario, ha come fine ultimo l’abbattimento dei prezzi. 

Il creare qualcosa che costi poco, sia sempre uguale e massimizzi le rese. 

A discapito della qualità del prodotto. 

Non importa se sia immangiabile o non trasmetta emozioni. (Uso termini forti per accentuare e rendere chiare le differenze)

Ma questo, in verità, non è che la conseguenza delle nostre abitudini che, effettivamente, abbiamo accettato inconsciamente.

Il mercato si muove sempre verso ciò che richiedono i consumatori.

Il formaggio che vogliamo (o meglio, che il mercato richiede) è quello in offerta, che costa poco. 

È sempre uguale. Perché ormai siamo abituati a riconoscere solo quel gusto. 

Non è in funzione del “me lo devo gustare” ma del “so che mangiarmi al volo a pranzo o a cena”.

Ma non è cosi.

Non può esserlo.

Il formaggio è vivo. 

Cresce nei sapori, nei sentori… in base al periodo dell’anno e all’ambiente dove si trova. 

Il formaggio è la somma e l’incastro di più elementi (il latte, la lavorazione, la stagionatura) che, anche se variati di poco, creano un risultato piuttosto che un altro.

E’ impensabile che sia piatto, senza gusto e mediocre.

.

Queste differenze da dove provengono? Perché, anche se riportano in etichetta le stesse materie prime non sono assolutamente paragonabili tra loro?

Addentriamoci insieme nella scoperta.

Le Materie prime

Per un grande risultato finale è necessario partire da grandi materie prime.

La materia prima del formaggio è certamente il latte.

Quello ideale è un latte sano, saporito e profumato.

Il latte ideale: sano e profumato
Il latte ideale: sano, saporito e profumato

P.S: prima di iniziare ti suggerirei di leggere velocemente anche l’articolo: la classificazione del latte: crudo, pastorizzato… capirai di più sulla materia prima subito.

Sano perché non deve contenere, al suo interno, batteri nocivi (in gergo anticaseari) che contrastino il suo sviluppo generando dei difetti o peggio, possano far male alla salute del consumatore finale.

E’ difficile renderlo sano?

Si, molto. Assolutamente non si deve inquinare quindi tutti gli ambienti devono essere rigorosamente puliti e sanificati (immagina la difficoltà nel farlo con 50 vacche che mangiano costantemente tutto il giorno e poi ….!)

Saporito… 

…Grazie alla flora batterica casearia (quella buona) presente.

Profumato…

…Grazie alla sua varietà dei tanti ceppi differenti presenti 

Tutto dipende dai batteri al suo interno. 

Un’ottima flora batterica sarà buona e variegata nei suoi aspetti. Creando, con il proseguir della stagionatura, un ventaglio di aromi e profumi unico nel suo genere: costruito, complesso e particolare.

E’ difficile renderlo saporito e profumato?

Si, molto. 

Gli animali devono godere sempre di ottime condizioni di salute e devono poter mangiare variegato.  

Dovrebbero essere libere di muoversi quanto vogliono e mangiare erba fresca con i fiori d’estate, del fieno ottimamente conservato e nato da prati seminati appositamente, granaglie (qualora si utilizzassero) prodotte con tutti i crismi di una coltivazione completamente naturale.

Per tutto ciò, è richiesta una mole enorme di sforzi.

Approfondiremo tutto adesso.

Ora che abbiamo scoperto come sarebbe una materia prima ideale…

…conosciamo la realtà.

In Italia, la maggior parte delle aziende produttrici di latte sono realtà medio piccole, storiche e con una mentalità spesso legata ancora su dogmi antichi, superati. Spesso proseguono il lavoro storico senza aggiungere cultura e approfondire la conoscenza.

Siccome quello che ho elencato pocanzi per creare il latte ideale è veramente difficile da ottenere –sia perché non si sa, sia perché non si vuole– solitamente ci si toglie da queste responsabilità limitandosi alla sola produzione della materia prima e consegnando tutto ai grandi caseifici. 

Piccole realtà che confluiscono in una grande, grandissima realtà: il caseificio.

Il latte di ognuna di queste, non sarà mai valorizzato ma, al contrario, reso uniforme a tutti gli altri.

Standardizzato.

Come? 

Unito ad altri e pastorizzato.

Con la pastorizzazione il latte viene portato a 72 gradi per 30 secondi e abbattuto rapidamente. Ciò uccide il 99% della flora batterica. 

Sia cattiva che buona. 

E’ Obbligatoria, per legge, per chi lavora latti provenienti da diverse realtà. 

Questo a tutela del consumatore e della sua salute.

Poichè alcuni allevatori sono veramente zozzoni ed il latte è in condizioni pietose.

Perché, alla fin fine, non importa della sua bontà (anche se, negli ultimi anni, questa cosa si è rivalutata) tanto verrà mischiato ad altri e pastorizzato.  

L’importante è solo che si rispettino certi standard (minimi).

Ma il latte così non avrà nessuna caratteristica di base da sviluppare. 

Chi però invece si impegna a realizzare un’ottima materia prima non vuole questo. 

Essere mischiato alla mediocrità.

Farà di tutto per valorizzare la propria produzione.

Si occupa del benessere dei suoi animali, di ciò che mangiano e di come vivono. 

Gli animali, di conseguenza, gli restituiranno un latte migliore: 

Per migliore si intende:

Più grasso e di qualità: Per fare meglio il formaggio e più abbondante.

Con la Presenza di una flora batterica variegata e sana (senza batteri nocivi) in grado di creare e donare sapori e sentori particolari al formaggio. 

Di renderlo buono al palato di chi lo assaggia.

Chi si impegna così tanto, non vuole che il suo latte sia svalutato al pari di chi lavora con pressappochismo.

Anche perché i mangimi “di livello” costano. 

La semenza di qualità per i campi è selezionata ed ha un prezzo superiore. 

Rendere sana e genuina tutta la filiera costa ed è impegnativo.

L’unico vero modo per valorizzarla è la creazione del formaggio.

Minicaseificio artigianale
Produzione del formaggio in un minicaseificio artigianale

Che porta con sé anche notevoli costi di avviamento. 

Realizzare un mini caseificio, anche se piccolo, è molto dispendioso in termini di risorse economiche e tempo. 

Gli attrezzi costano e imparare a fare il formaggio di qualità è veramente difficile e richiede impegno e costanza. 

Di contro, i caseifici richiedono standard facilmente raggiungibili. 

Ma lo sottopagano a condizioni favorevoli solo per loro (pagamento del latte anche dopo 6 mesi).

Già da qui partiamo su due gradini differenti.

Da una parte un latte sano e profumato. 

Dall’altra uno piatto e insapore.

Latte crudo vs pastorizzato

Come viene lavorato quindi questo latte?

Un ottimo latte, come abbiamo visto, è profumato e sano al suo interno. 

La flora batterica al suo interno è variegata e prodotta in modo naturale con la somministrazione di fieni autoctoni o mangimi coltivati naturalmente.

Ricca di diversi ceppi batterici tipici.

Quella flora restituirà un ottimo sapore dalle mille sfaccettature uniche e legate al territorio.

Sfaccettature che cambiano (e si sentono!) da regione a regione, luogo e luogo.

Questo “piccolo patrimonio” va tutelato e lasciato esprimere per creare qualcosa di meraviglioso.

La realtà che decide di puntare ad una filiera migliore, principalmente, sceglie di lavorare il latte a crudo. (Ossia senza riscaldarlo oltre i 40 gradi e non intaccare in nessun modo la flora batterica.)

Le produzioni che provengono da latte crudo hanno una marcia in più. Lo si capisce.

La maggior parte dei formaggi che mangio io, sono rigorosamente a latte crudo. Li trovi qui: Formaggi del GastroAmante

Il latte crudo non è per tutte le aziende però. 

Fondamentalmente, lavorare a latte crudo significa non mettere nessuna barriera protettiva a quella flora batterica lasciata libera di crescere. 

Nel caso fosse impura, c’è il rischio che sviluppi:

Flora anticasearia: che crea solamente difetti e rende il formaggio inutilizzabile (da buttare). Aumentano i costi e si abbassa la qualità del formaggio

Flora nociva per l’uomo: con i batteri non si scherza, con quelli nocivi il consumatore finale potrebbe anche morire!

È come creare uno spazio per un bambino birichino. Se non delimiti l’area e non lo educhi a crescere, crescerà come dirà lui. 

Bene, si spera, ma molto probabilmente “male”

Per queste due motivazioni il latte crudo è sottoposto a rigide regole da rispettare assolutamente. 

Regole imposte direttamente da leggi a tutela del consumatore (l’Italia, essendo patria dell’enogastronomia, è all’avanguardia in questo.)

Queste regole prevedono:

  • Un numero molto basso (e determinato) di batteri presenti.

Ok per la flora batterica buona ma non deve essere già soprasviluppata. 

Il massimale è una carica batterica di 100,000 ufc (carica batterica per millimetro). 

  • Che il formaggio, a parte delle eccezioni, dovrebbe essere stagionato oltre i 60 giorni (nei primi 60 giorni escono la maggior parte dei difetti)

Di contro, abbiamo il latte pastorizzato. 

Sono ripetitivo lo so, ma cerco di toccare lo stesso argomento sotto prospettive diverse.

Mischiando più tipologie di latte (italiane, estere, buone, cattive), dalle caratteristiche differenti tra loro si mescolano anche tutte le flore presenti.

Ogni azienda agricola ha la sua flora, la sua carica batterica: chi più bassa, chi molto più alta.

Ci penserà poi la pastorizzazione ad equilibrare il tutto.

Proprio per questo Pastorizzare, spesso è un bene

Con la pastorizzazione si decima tutto. 

Quasi la totalità della carica batterica presente.

Ma senza carica batterica non si svilupperà sapore.

E per ottenerlo, c’è bisogno di ricrearlo.

Come?

Con l’utilizzo dei fermenti. 

I fermenti non sono altro che flora batterica selezionata e riprodotta in laboratorio.

Selezionata perché, normalmente, è presente un ceppo solo (o al massimo due) termofili, mesofili e bulgaricus. 

Sono quelli più utilizzati. Ed è per questo che il formaggio sembra tutto uguale. 

I ceppi batterici sono tantissimi e variegati, limitarsi solamente all’utilizzo di tre ceppi, standardizza ulteriormente.

Quindi ecco un’altra grande differenza.

Ogni ceppo dona una sua caratteristica propria. 

I vari ceppi del latte crudo, restituiranno tante caratteristiche diverse che sommate aiuteranno nella costruzione di un sapore unico. 

Un solo ceppo, per quanto ben scelto e selezionato, potrà restituire molte meno caratteristiche. 

La situazione nel gusto migliorerà un pochino ma non farà di certo la differenza. 

Per Il latte pastorizzato questo è un ottimo punto a favore: 

Essendo ricostruito, si ricostruisce “alla perfezione”. Si mettono esattamente i batteri che servono.

Questo eviterà fermentazioni anomale che creeranno difetti. 

I batteri nocivi difficilmente si riproducono. 

Questo abbatterà notevolmente gli scarti e quindi prodotto invenduto.

In generale, darà pochissimi “problemi”.

Detto questo, le conclusioni di questa parte sono che:

Il latte crudo da una marcia in più al prodotto finale. È più difficile da gestire ma, paradossalmente, diviene molto sicuro perché più controllato.

Ma produrlo richiede un maggior sforzo e rigore.

Il latte pastorizzato è certamente più sicuro ma il risultato finale, in termini organolettici, è mediocre.

Lavorazione 

Una volta capita l’importanza della materia prima, è tempo di passare alla lavorazione. La terza grande differenza è proprio qui.

Incide anche questo? Si molto.

La lavorazione è quel passaggio nel quale si uniscono, creano e fondono tutti i fattori diversi.

Ti spiego meglio.

Come abbiamo già detto, la lavorazione artigianale è più incentrata per la migliore espressione dell’organolettico.

Quella industriale più sull’abbattimento dei costi.

L’artigianale tende a far esprimere il meglio della materia prima.

Qui l’esperienza e la presenza del casaro (l’artigiano che produce il formaggio) sono due armi fondamentali.

Il casaro, “capisce” il latte, come adattarsi… 

Ha il “tempo” di prendersi cura di ogni forma e dedicargli la giusta attenzione. 

Eventuali difetti, problematiche o future difficoltà le coglie al volo e le cancella sul nascere.

Ma dedicare così tanta attenzione si può solo lavorando a mano, facendosi passare davanti gli occhi ogni pezzo prodotto.

Non potrà allora esagerare nella produzione per non farsi sfuggire la situazione di mano. 

Rompere la cagliata nel momento giusto, saper aspettare quando è acerba o quando sta maturando.

Lavorarla con le braccia nel siero bollente e poi premerla e girarla quando le si dà la forma nelle fuscelle.

Un bravo casaro, con una lavorazione a mano, potrà prendersi cura di 20… 30 forme al massimo.

L’adattamento credo sia l’arma più forte nata dall’esperienza.

Ecco perchè scelgo solo formaggi provenienti da piccole realtà: la cura e l’attenzione che riceveranno sarà certamente diversa.

Qui trovi i formaggi del GastroAmante

È importante tutta questa attenzione. Ti ricordo: Il formaggio è un elemento vivo. Non è sempre uguale. Come non è sempre uguale la materia prima. 

In primavera, quando i campi sono in fiore ed il latte è saporito e profumato, si adatterà producendo formaggi da stagionare perchè quelle caratteristiche, dopo un anno, doneranno un flavour avvolgente.

Di inverno, quando la temperatura è più rigida, si opterà per formaggi freschi e semistagionati. 

Si adatta poi ai diversi quantitativi di latte disponibili. 

In primavera, la quantità di latte disponibile sarà maggiore.

In inverno calerà.

Questo soprattutto nel mondo delle pecore e capre.

Le mucche spesso sono a stabulazione fissa (chiuse nelle stalle) e mangiano indicativamente sempre le stesse cose, la loro produzione è per lo più stabile.

A dirlo tutto sembra facile ma ti posso garantire che non lo è affatto. 

Nella lavorazione industriale, invece, conta produrre molti ma molti pezzi tutti i giorni e possibilmente tutti uguali. 

Perché, al di là del singolo consumatore che compra il pezzetto di formaggio per casa, le attività di ristorazione e gastronomia, adattano la loro produzione su standard ben precisi e richiedono poi che il prodotto sia sempre uguale al fine di evitare spiacevoli sorprese per i loro clienti.

Immagina di essere un cuoco e trovarti ogni volta un prodotto simile ma che “ti risponde” in modo differente. Il cuoco forte sa adattarsi ma non tutti purtroppo ci riescono..

Le macchine, servono proprio a questo. 

Partendo da un latte piatto, si costruisce su misura il sapore e poi, con il loro utilizzo, si farà una lavorazione standardizzata, tutta uguale.

Grandi lire che girano automaticamente romperanno la cagliata che sarà spinta poi, tramite una pompa, nelle fuscelle. 

Si pressa qualora si deve e si rigirano le forme utilizzando una macchina che ne rigira centinaia per volta (simile ad una pressa, si posizionano le fuscelle su un piano, si mette una tavola,altre fuscelle è così via) 

Opinione personale

…non si dedica abbastanza tempo alla singola forma.

In verità, non glielo si dedica per niente. 

Vorrei ritornare un attimo al discorso delle diverse quantità di latte in estate ed in inverno…

Questo, nelle lavorazioni industriali, spesso si trasforma in un gran problema.

In un periodo dell’anno la quantità di latte supera notevolmente quello che serve per la produzione.

In altre, invece, è insufficiente.

Ma la produzione, per supportare i costi, deve lavorare a pieno ritmo tutto l’anno.

Per ovviare a tutto ciò, il latte spesso si liofilizza. 

E lo si fa utilizzando la fisica: Aumentando la pressione, l’acqua si scinderà dalla materia solida che sarà più facile da stoccare. 

Polvere. Diventa polvere.

Nei periodi di “magra”, quella polvere sarà poi rivitalizzata ed utilizzata per mantenere la produzione costante.

Certo, mi immagino però il formaggio che possa uscire da latte liofilizzato.. ma questa è un’altra storia.

È un argomento molto delicato che suscitò anche un grande scandalo poco tempo fa.

La stagionatura

L’ultimo fattore è la stagionatura.

Essendo il più importante, l’ho lasciato per ultimo. 

La stagionatura è l’ultima fase di un processo nato dalla produzione del latte. 

È quella più lunga.

Se i primi passaggi (la mungitura e la lavorazione) si sono svolti in pochi giorni, il lavoro, con la stagionatura, può prolungarsi anche un anno. 

Forme di parmigiano arrivano anche a stagionare 10 anni.

Come si può intendere, è la fase che più incide sui costi della produzione.

Ricordiamoci che Il formaggio è un elemento vivo. 

Si adatta all’ambiente e muta calando o aumentando la sua umidità interna.

Quando è troppo poca diventerà duro e farà una crosta molto spessa. 

Hai presente il formaggio che lasci in frigorifero per molto tempo?

Duro, asciutto e con poco sapore.

Quando è molto alta, invece, diventerà morbido e svilupperà tante muffe.

Bisogna prendersene cura, curarlo, accudirlo… durante tutto il periodo. 

Non può essere lasciato quindi allo sbando.

È sbagliato pensare che stagionare significhi solo “far passare del tempo”.

Stagionare significa “far passare del tempo e prendersene cura”.

Cambia… e molto.

Prendersene cura significa capire le situazioni (tipo quelle appena descritte) e prendere degli accorgimenti.

Per entrambe le situazioni, infatti, si può fare qualcosa per rimediare.

Nella prima le forme e si inumidiscono con un panno su tutta la crosta. 

Nella seconda, al contrario, si asciugano spesso e si cerca di evitare la proliferazione di muffe sulla crosta.

È importante perciò che al suo interno la situazione sia equilibrata: 

La parte superiore tenderà ad asciugarsi è quella sotto a rimanere molto umida.

Per questo, la forma deve essere capovolta sottosopra tutti i giorni, quando fresca, e almeno un giorno sì e due no quando stagionata.

Il compito del casaro non si ferma quindi solo alla produzione ma prosegue anche per tutta la stagionatura.

Ogni forma va seguita ed attenzionata. 

Ma i formaggi che usciranno saranno dei piccoli capolavori. 

Capolavori con molta fatica. 

Producendo 30 formette da 2 kg al giorno (questa è la media del latte lavorato da tutti i pastori che conosco) e stagionandole un minimo di 30 giorni, si avrà a che fare con 900 forme da controllare.

Su carta è così, normalmente sono un po’ di meno. I pastori tendono a vendere il formaggio fresco perché il gusto dei consumatori ormai tende verso formaggi morbidi e più delicati.

Ora però immagina tutti quei caseifici giganteschi con migliaia e migliaia di forme da controllare… 

Servirebbe un esercito. 

È un enorme sproloquio di costi che deve essere assolutamente evitato

Ed è qui infatti che il formaggio diventa mediocre definitivamente.

Per evitare però tutta questa fatica e questo grande impiego di risorse economiche, si possono prendere degli accorgimenti.

Non si stagiona più in spazi naturali (grotte, cantine..) ma in grandi celle frigorifere. Con umidità e temperatura controllata, senza contatto con l’esterno.

Griglie per stagionatura

Niente è lasciato al caso.

Questo per evitare muffe anomale o sbalzi di temperatura improvvisi.

Certo, stagiona nel suo ambiente ideale costruito su misura, ma perde qualcosa…

…la poesia.

Il bello del formaggio è scoprire le sensazioni che si porta dietro come “esperienza” durante la stagionatura. 

Stagionando in un modo piuttosto che in un altro, cambierà.

Lasciando libera la flora batterica di adattarsi alle varie situazioni, si creerà un formaggio piuttosto che un altro. 

Simili certo, ma mai uguali.

Ed il bello è saper apprezzare questa diversità.

In un modo di estate ed in un altro l’inverno. 

Bene…

Insieme abbiamo percorso in lungo ed in largo il mondo del formaggio e delle sue differenze. 

Spero di averti, ancora una volta, reso consapevole di ciò che stai mangiando.

Se vuoi provare davvero la differenza, prova qui: i formaggi del GastroAmante

Un abbraccio

Il GastroAmante